Dopo il referendum, si riapre il dibattito sul regionalismo

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"Io guardo con interesse, rispetto e disponibilità alla discussione che si  è aperta in seguito ai referendum sul tema dell'autonomia" se possono far fare "passi in avanti sul terreno delle autonomie, e su alcune funzioni.

Il governo  è pronto a un confronto di merito su questo". Lo dice il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, allo stabilimento Eni Green Refinery di Marghera. Gentiloni sottolinea che "alcune funzioni", probabilmente, "possono essere piu' efficienti" grazie ad un "ruolo piu' autonomo delle regioni. Discuterne e' utile, vedremo quali funzioni e quali condizioni". "Sarà una discussione complessa", che "non si fa in 5 minuti con due battute. Ma siamo pronti a fare questa discussione nei limiti fisati dalle nostre leggi e dalla nostra Costituzione". "Deve essere chiaro che si discute di efficienza del nostro sistema e di come far funzionare l'Italia, non si discute dell'Italia e della sua Costituzione. Ma il confronto  è utile e dal governo c'è la massima apertura". "Non abbiamo bisogno di altre lacerazioni, ma dobbiamo ricucire le lacerazioni che nel nostro Paese gli anni della crisi hanno provocato".
  "Leggo in positivo le parole del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Non mancheremo di fare la nostra proposta nell'alveo della Costituzione, che parla non solo di competenze e di federalismo fiscale, ma anche delle modalita' della trattativa". Cosi' il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha commentato a caldo le parole pronunciate stamattina dal premier Paolo Gentiloni dopo i referendum sull'autonomia di Veneto e Lombardia. "Per quanto riguarda i tempi, se c'e' la volonta' da entrambe le parti, possono essere piu' ragionevoli di quelli della pubblica amministrazione e delle pastoie della politica", ha aggiunto Zaia. "Il nostro atteggiamento sara' costruttivo nell'interesse nel Veneto, per risolvere lacerazioni create non solo dalla crisi ma anche da una visione odiosa della gestione del Paese, vergognosamente centralista, che ha disatteso anche i dettami e i principi ispiratori della Costituzione e dei padri costituenti che avevano una visione del Paese autenticamente federalista", la conclusione del governatore.
La proposta sull'autonomia della Regione Veneto e' "nell'alveo della Costituzione" e "parla non solo di competenze e di federalismo fiscale, ma anche delle modalita' della trattativa". Lo afferma il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, in risposta a quanto affermato questa mattina a Porto Marghera dal presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, ovvero che non ci sara' alcuna modifica della Costituzione.  "Il nostro atteggiamento sara' costruttivo nell'interesse nel Veneto, per risolvere lacerazioni create non solo dalla crisi ma anche da una visione odiosa della gestione del Paese, vergognosamente centralista, che ha disatteso anche i dettami e i principi ispiratori della Costituzione e dei padri costituenti che avevano una visione del Paese autenticamente federalista", conclude Zaia.
"Il problema dei tempi non e' nostro, noi siamo pronti a trattare anche da domani, oggi c'e' il primo incontro con l'Emilia Romagna, dipende poi dalle proposte che fanno loro. Dobbiamo avere una legge approvata o deliberata dalla Regione, la Lombardia e il Veneto non l'hanno. Nel momento in cui lo fanno siamo disponibili da subito". Così all'Ansa il sottosegretario agli affari Regionali Gianclaudio Bressa. "Potremmo chiudere le procedure per l'intesa con tutte queste regioni, l'Emilia è più avanti e iniziamo oggi nel merito". Rispondendo poi al presidente della Lombardia Roberto Maroni che ha chiesto al  presidente dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, di unire i tavoli di trattativa con il governo per l'autonomia, Bressa ha detto all'Ansa che questa è "una delle ipotesi possibili nella fase preliminare di discussione sulle singole materie, ma se poi   dovessero emergere esigenze diversificate, sarebbe ovvio che non si potrebbe più procedere insieme e i tavoli andrebbero separati".   "Il dato dell'affluenza, soprattutto in Veneto - ha proseguito il sottosegretario Bressa, rispondendo ad una domanda - e' la testimonianza che il tema e' fortemente sentito ed e' la ragione per cui io, 16 anni fa, ho proposto l'emendamento che ha dato origine al terzo comma dell'articolo 116: mi stupisce che siano passati 16 anni da allora e che nel frattempo non sia stato fatto nulla dalla Regione Veneto né da nessun'altra Regione". Bressa ha infine ricordato che nel 2014 la Corte Costituzionale "ha detto chiaramente che le Regioni a Statuto speciale sono 5 e le altre Regioni possono avere più autonomia secondo l'articolo 116, ovvero usufruendo del principio del regionalismo differenziato". Di qui la considerazione che l'ipotesi di statuto speciale per il Veneto sia "una provocazione. E del resto, se fossero tutte speciali verrebbe meno l'architrave della nostra Repubblica".
Bressa peraltro incontrato oggi il Presidente dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini che dalla sua pagina Facebook, avverte "Chi in questi giorni, in particolare qualche leghista improvvido, ha sostenuto che la Regione Emilia-Romagna abbia indicato solo quattro competenze al Governo, sulle quali chiedere autonomia, non sa di che parla. Prenderà una bella cantonata perché quattro erano le aree strategiche". Bonaccini a Roma per continuare la discussione con il Governo sul tema, ha già firmato una lettera di intenti con il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, a seguito della risoluzione adottata il 3 ottobre dal Consiglio Regionale.
Il  Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, a margine di una conferenza stampa a Palazzo Pirelli, ha rivelato di aver "sentito Stefano Bonaccini, che oggi parte formalmente con la costituzione del tavolo di trattativa dell'Emilia-Romagna con il Governo. Gli ho chiesto la disponibilita' a unificarlo con quello della Lombardia, perché così semplifichiamo e rafforziamo il dialogo con lo Stato centrale. Io - ha evidenziato il presidente lombardo - porto il 'peso' di tre milioni di cittadini, cosa utile anche per lui. Mi ha detto che ne parlera' con il sottosegretario Bressa, se decideranno di aspettarci, credo sara' una cosa utile per le Regioni, non solo per la nostra. Chiudiamo - ha proposto Maroni - la fase della campagna elettorale. Adesso, visto il risultato importante e significativo del nostro referendum, se mettiamo da parte le polemiche e ragioniamo sulla concretezza della trattativa, che sara' complicata e impegnativa, credo faremo il bene dei nostri cittadini". "Il nostro quesito chiedeva tre cose molto precise: il riconoscimento della 'specialita'' della Regione Lombardia, che non vuol dire 'Statuto speciale'. Questo, nel 'quadro dell'unita' nazionale'. Terza cosa, a differenza del Veneto, abbiamo fatto riferimento all'articolo 116 della Costituzione, che per me significa piu' autonomia. Punto", ha precisato il Presidente della Regione Lombardia rispondendo alle domande dei giornalisti che gli chiedevano se, come hanno sostenuto certi giornali oggi, dietro ai referendum autonomisti di domenica ci sia il tentativo di avvisare una sorta di 'secessione morbida'. "Non esiste questa ipotesi - ha ribadito  Maroni - e' solo la polemica di qualcuno che si ostina a non voler capire". Per costruire il progetto di autonomia della 'Lombardia Speciale' "ci diamo tempo due settimane, massimo tre e sono gia' d'accordo con il Premier Paolo Gentiloni e il sottosegretario Gianclaudio Bressa che appena siamo pronti noi sono pronti anche loro". E' il timing proposto dal governatore Lombardo, Roberto Maroni, per avviare la trattativa con Roma e ottenere maggiore autonomia. "Noi partiamo oggi in Consiglio Regionale con la nostra strada che e' quella di dare attuazione ad un risoluzione perche' questo dice il nostro quesito referendario e siamo vincolati a quello" ha quindi annunciato Maroni, precisando che la sua intenzione e' di "rispettare il quesito". Quindi ha anticipato quello che dira' oggi davanti all'assemblea del Pirellone: "Diro' che faremo una serie di incontri con gli stakeholder. Ho gia' parlato con i sindaci, con il presidente dell'Anci Virginio Brivio e con il presidente dell'Upl, Pierluigi Mottinelli". Grazie a questi incontri si formera' "la squadra" pronta a dialogare con il governo centrale: "Ci vedremo non appena sara' depositata in Consiglio la risoluzione. Mi daranno una delegazione di amministratori: voglio andare con una squadra per organizzare qualcosa di istituzionale e dettagliato con tavoli su macroaree". Poi ha aggiunto: "Anche a me piacerebbe la Lombardia regione a statuto speciale, ma il nostro quesito dice un'altra cosa" riferendosi alla proposta lanciata dal collega Luca Zaia. Tuttavia "la cosa su cui voglio insistere e' la specialita' della Lombardia che e' una terza via tra Regione a statuto speciale e a statuto ordinario".
In ogni caso "Luca Zaia mi ha un po' spiazzato, non era concordata questa mossa, l'ho appresa stamattina. Domani leggerò la sua proposta di legge e capirò se sarà possibile un percorso comune". E' "Difficile fare una battaglia insieme ora: Bressa mi ha telefonato stamattina (il 23 ottobre, ndr) dicendomi chiaro che se io gli avessi chiesto lo statuto speciale per la Lombardia non sarebbe stata possibile alcuna trattativa con il governo, visto che la materia è di competenza del Parlamento. Io speravo di fare una battaglia comune, e invece a questo punto non ci faranno sedere allo stesso tavolo. Un conto è andare a trattare in due, un altro andarci da soli. E poi anche per un motivo strettamente tecnico".
Chiederò al governo "Che alla Lombardia venga riconosciuto lo status di regione "speciale" (da non confondersi con lo "statuto speciale"), al fine di ottenere più soldi con i meccanismi del residuo fiscale, il tutto nel quadro dell'unità nazionale». Spiazzato lei, e in difficoltà Salvini, in particolare con le regioni del Sud? «Non parlo per Salvini. Certo è che trasformarsi in una regione a statuto speciale, come ad esempio la Valle d'Aosta, significa chiudersi a tutte le altre regioni perché, così facendo, si tengono per sé tutti i soldi".
"Noi partiamo oggi in Consiglio regionale con la nuova strada, che  è quella di fare una risoluzione per dare attuazione agli articoli 116 e 117, perche' questo dice il nostro quesito referendario e siamo vincolati a quello, ovviamente - ha spiegato il presidente -. Anche a me piacerebbe avere la Lombardia a Statuto Speciale, ma il nostro quesito dice un'altra cosa e io mi attengo a quello". "Noi parliamo di 'Specialita'' della Regione, - ribadisce Maroni - non di 'Statuto Speciale', ma di 'Lombardia Speciale', e' la cosa su cui voglio insistere, perche' e' una terza via tra la Regione a Statuto Ordinario e la Regione a Statuto Speciale: una 'via lombarda'. Se la Lombardia venisse riconosciuta come 'Regione Speciale', potrebbe avere comunque grandi benefici, anche senza diventare una Regione a Statuto Speciale, perche' questo richiederebbe una modifica costituzionale".
"Zaia fa benissimo a fare quello che fa - ha aggiunto - e gli auguro davvero che il Veneto diventi una Regione a Statuto Speciale, ci siamo sentiti e gli ho detto che la nostra  è una strada diversa, ma non  è una critica,  è la realta', il nostro quesito  è una specie di manifesto, che parla di 'Lombardia Speciale', nel quadro dell'Unita' nazionale e cita gli articoli della Costituzione, il loro e' diverso" e "in Consiglio regionale diro' che faremo una serie di incontri con gli stakeholder e gli Enti locali, ho gia' sentito il presidenti Brivio e Mottinelli, - ha spiegato Maroni -, ci vedremo non appena sara' depositata in Consiglio regionale la risoluzione di attuazione e verra' indicata da loro una delegazione: voglio andare a trattare con una squadra, perche' non intendo fare io da solo con Gentiloni o il Governo la trattativa, ma di organizzare un percorso istituzionale, molto dettagliato, con tavoli tematici su macroaree, che raggruppino le materie. Dovremo quindi costituire una squadra che rappresenti la Lombardia e' cominciamo oggi. "Ci diamo tempo due, tre settimane al massimo - ha concluso il presidente - e sono gia' d'accordo con Gentiloni e Bressa: appena siamo pronti, loro sono pronti".
Il governo è rispettoso del voto in Lombardia e Veneto ma avverte che non c'è spazio per discutere di una diversa ripartizione delle entrate fiscali, perché la Costituzione non lo consente. Questo il messaggio che il ministro della Coesione territoriale, Claudio De Vincenti, invia con una intervista al Corriere della Sera dal suo studio di largo Chigi. "Il referendum non pone alcun problema al governo - afferma -. Anzi considero un buon risultato che la Lega sia venuta oggi su un terreno di autonomia, abbandonando ogni velleità secessionista. Il segnale che viene dal voto è quello di uno Stato che deve essere più vicino ai cittadini per dare risposte più efficaci ai loro bisogni. Non a caso l'articolo 116 della Costituzione parla di ulteriori forme di autonomia nella gestione dei servizi. Sarà questo il terreno del confronto tra il governo e ciascuna delle due Regioni"
Il Presidente della Liguria, Giovanni Toti (che è anche vicepresidente della Conferenza delle Regioni) sembra tracciare - in due interviste pubblicate  dalla Repubblica e dal Messaggero.- una possibile "terza via". "Elaboreremo subito una proposta di autonomia della Liguria: sarà un documento da portare al governo e anche un testo da sottoporre al voto dei liguri, con il referendum. Certo, se i tempi tecnici lo consentiranno".  E' quasi un percorsop di lotta e di governo. "La riforma più importante, e da cui discenderà l'autonomia necessaria, è quella della Costituzione, che faremo tra qualche mese, appena saremo al governo.Ora però "È tardi per accorpare il referendum sull'autonomia della nostra regione alle elezioni politiche da cui, poi, probabilmente, uscirà un governo guidato dal centrodestra che ha l'autonomia delle regioni nel suo Dna. Dobbiamo separare la politica dagli atti amministrativi, che hanno un iter ancora lungo: la proposta votata nei referendum deve essere ratificata dai consigli regionali di Veneto e Lombardia, poi allora diventerà proposta al governo, non prima della fine dell'anno. La mia idea è costituire al più presto un gruppo di lavoro che elabori una proposta, sia da presentare al governo, sia da avviare, in Liguria, all'iter referendario". Quanto guadagnerebbe la Liguria "autonoma"? "Innanzitutto dovremo ragionare non su quanto daremo in meno a Roma, ma su quanto resterà alle Regioni in più. Poter agire con discrezionalità su Irap, Irpef, Iva sarebbe già un buon margine di azione. La Liguria ha circa un miliardo di euro di residuo fiscale attivo, senza considerare i porti. In Liguria, su 4 miliardi e mezzo dei porti, rimangono 20-25 milioni". "Oggi il quadro di finanza pubblica non ci consente di intervenire neanche sui tributi locali. Il margine di discrezionalità è modesto. Per esempio se volessi abolire l'Irap nella mia regione non potrei farlo". Invece "Basterebbe intavolare una trattativa tra regioni, governo e Parlamento. Si potrebbero aumentare i margini di autonomia fiscale all'interno del quadro costituzionale, ma io penso che nella prossima legislatura una vera riforma della Costituzione vada fatta".
E'stata un'abile operazione politico-elettorale, sia per posizionarsi nel centrodestra che per fidelizzare l'elettorato». È invece il primo commento di Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, a proposito dei due referendum: tema sul quale Lega e Forza Italia lo hanno accusato di essere silente. «Del resto queste consultazioni scontano un'ambiguità evidente, lo spoglio non è ancora terminato che già Maroni e Zaia imboccano strade diverse: il primo resta sul binario del 116, dal quale però è esclusa ogni contrattazione di tipo fiscale, mentre il secondo va oltre e chiede lo Statuto speciale. Ma non è tutto oro quello che luccica». In che senso? «Quando dovranno spiegare a chi ha votato che tenere i nove decimi della fiscalità non si può fare, rischiano un effetto-boomerang. Anche così, rispetto l'abilità politica di un'operazione che certo non condivido, nel metodo e nel merito». Lega e Forza Italia la spronano a seguire la stessa strada. «No, non mi accodo. Per due ragioni: la prima è che, avendo un disavanzo da ripianare per il prossimo ventennio con il sostegno del governo, disavanzo che non abbiamo creato noi, sarebbe paradossale se con una mano chiedessi aiuto e con l'altra rivendicassi maggiore autonomia. Mi pare un ragionamento lineare». E la seconda? «Non credo sia la strada giusta per costruire un sistema federalista equilibrato». Perché? «Il Piemonte, come altre nove regioni, ha un coefficiente positivo di 2.400 euro pro-capite: siamo quinti in classifica». Cosa significa? «Il coefficiente positivo è quello che una Regione versa in più allo Stato rispetto a quanto riceve. Ebbene: se tutte queste Regioni si tenessero i nove decimi della fiscalità, lo Stato non potrebbe garantire le prestazioni essenziali alle altre. Per me federalismo non significa randellare lo Stato. Nel contempo, penso che il Pd farebbe bene a non sottovalutare l'esito di questi referendum». Ecco: non crede che abbiano raccolto delle istanze, le istanze del Nord, probabilmente sentite anche in Piemonte? «Per me raccogliere le istanze non significa cavalcarle. Detto questo, è evidente che tra la gente, anche in Piemonte, c'è una diffusa sfiducia verso l'establishement. Anzi: Roma è considerata l'establishement. Ecco perché la mobilitazione dell'elettorato non va sottovalutata». Motivo? «Intanto perché rappresenta un rischio nei collegi uninominali: se in Veneto il 60 per cento ha votato sì al referendum, e se alle elezioni politiche un po' più della metà di quel 60 voterà per il centrodestra, i conti sono presto fatti. Secondo me bisogna prendere l'aspetto positivo di questa vicenda». I referendum come uno stimolo? «Sono sempre stato per un federalismo serio: serve un ridisegno dei confini amministrativi delle Regioni e un ridisegno del rapporto tra Regioni a statuto speciale e Regioni ordinarie all'insegna di un nuovo equilibrio fiscale». Non crede che queste consultazioni impongano una riflessione, e una risposta, anche al governo? «Mi pare che il governo abbia già dato un segnale, in ogni caso la risposta può essere solo un confronto nell'ambito del dettato costituzionale. La legislatura è agli sgoccioli, ma per la prossima questo sarà il vero tema: definire un nuovo assetto tra Stato centrale e autonomie. Lo dice uno che ha posto la questione del Nord quando nessuno ne parlava, o ci ridevano sopra".
Michele Emiliano, presidente della Puglia,  sottolinea  - in un'intervista alla Stampa - che "Il ministro Maurizio Martina ha detto la verità: Veneto e Lombardia, così come le altre regioni, possono chiedere allo Stato più competenze e più risorse per gestirle, ma questo non significa affatto tenersi più tasse in casa propria. E Zaia e Maroni lo sanno perfettamente".   Per alcuni versi è solidale con la battaglia dei colleghi del Nord sull'autonomia: "Certo che siamo interessati a questo percorso, non a caso la Puglia è stata tra le regioni che hanno detto più chiaramente No alla riforma costituzionale di Renzi, che voleva togliere potere alle regioni. Con l'articolo 116 della Costituzione questo si può fare su 23 materie: più competenze e più budget. Ma il meccanismo di ripartizione delle tasse tra lo Stato e le regioni non si tocca. C'è un pensiero neocentralista e nazionalista, anche dentro il Pd, che ritiene che dare più poteri alle regioni generi confusione. Non è così. Credo invece che il futuro dell'Ue appartenga molto più alle regioni che agli stati nazionali, che sono stati finora un ostacolo all'integrazione europea. Il futuro è delle regioni e delle macroregioni transnazionali. La Puglia ad esempio fa parte dell'area Adriatico Jonica con Albania e Montenegro". Quanto al rischio che  dagli stati nazionali si rischia di arrivare al nazionalismo dei campanili, per Emiliano è vero il contratrio "nelle regioni c'è il vero antidoto ai nazionalismi e ai populismi. L'Europa delle Regioni esiste già, in futuro gli Stati avranno solo un ruolo di coordinamento.
In Italia questo referendum riapre la questione settentrionale. Veneti e lombardi vogliono mandare meno soldi a Roma e al Sud? «Il Nord riceve già più soldi del Sud, ad esempio nella sanità. A parità di abitanti in Puglia abbiamo circa 800 milioni di euro in meno dell'Emilia Romagna. E il Veneto non è così svantaggiato. Semmai è la Lombardia a ricevere 50 miliardi in meno di quanti ne produce. Ma questo è dovuto anche al fatto che le grandi società hanno sede a Milano. Ma non tutte generano Pil solo in Lombardia..."  Tra le  competenze che Emiliamno chiederebbe   per la Pugliarientrano i "temi dell'energia, dell'ambiente. Le bonifiche e l'agricoltura bio possono far crescere il Pil. La Regione deve portare avanti i suoi programmi, non essere estromessa come al tavolo sull'Ilva. Noi siamo più vicini ai cittadini rispetto al governo nazionale. E per dirlo non serve un referendum".
Secondo Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania  "Il presidente del Veneto ha scantonato. Era partito con la richiesta di nuovi poteri per la Regione Veneto, adesso sta cominciando a parlare di statuto speciale, in un crescendo di demagogie. Faccio due considerazioni - ha affermato - La prima è facciamo bene i conti e vediamo chi deve dare e chi deve avere, per quanto ci riguarda, come Regione Campania, dobbiamo avere e non dare, a cominciare dal riparto del fondo sanitario nazionale, che vede la Campania depredata ogni anno di 250 milioni di euro, tanto per cominciare. Per il resto - ha aggiunto - se la sfida che lancia, più che Zaia, Maroni è quella dell'efficienza, del rigore amministrativo, della correttezza della pubblica amministrazione, allora è una sfida nella quale la Campania è al primo posto, che non ci spaventa. Anzi, noi la rilanciamo in termini collaborativi - ha sottolineato - La Campania è pronta a qualunque sfida dell'efficienza, al limite perfino rinunciando a qualsiasi fondo di solidarietà, cosa che avevo già espresso anche in Conferenza delle Regioni. Io sono per avere lo stesso riparto di risorse per tutti cittadini italiani, poi chi è capace di governare, lo faccia. Ovviamente questi ragionamenti possiamo farli se partiamo da un'affermazione limpida, forte, senza riserve di difesa dell'unità nazionale - ha concluso - Se vogliamo discutere nel merito discutiamo, nessun problema".
Anche la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, ritiene che "Quella di Zaia  è una proposta che non ha fatto con il referendum, perche' il quesito era molto generico e non c'era assolutamente la richiesta di rendere il Veneto una Regione a Statuto speciale".  Ospite di 'Radio Anch'io' su Radio1 Rai, Serracchinai ha ricordato che "Le Regioni a Statuto speciale già esistenti sono molto diverse tra loro e hanno una loro attualita' adesso, perche' laddove riescono esercitano bene le loro competenze e dunque fanno il bene del Paese, laddove questo non accade ovviamente non si fa un bene al paese e si crea il disagio", ha aggiunto. Inoltre "sono convinta che il referendum e' stato votato trasversalmente. In Veneto c'è una forza identitaria piu' spiccata rispetto ad altre parti del Paese. Oggettivamente e' una storia che parte da lontano ed e' legata al disagio di terre che sono state sempre povere e che con un impegno molto forte sono diventate la parte produttiva del paese", dunque "c'e' una maggiore sensibilita' a ritenere che i soldi pubblici vadano spesi meglio, anche questa e' stata una spinta molto forte per andare a votare nei veneti piu' che nei lombardi".  I
l presidente della Regione Abruzzo, Luciano D'Alfonso, si dice "interessato alla linea dell'Emilia-Romagna che punta a precisare le competenze, le materie e anche le alleanze per fare in modo che nasca un nuovo regionalismo italiano nel quadro anche della riflessione europeista". "Io voglio che la Regione Abruzzo faccia l'ulteriore pezzo di strada che ha davanti a sé con le Regioni vicine. Mi interessa un patto di collaborazione - spiega D'Alfonso - per fronteggiare problemi comuni con il Molise con il Lazio e con le Marche". 
"Autonomia e federalismo sono responsabilità, non ricerca del consenso. Devono rafforzare lo Stato rispettando la Costituzione. Si comincia chiedendo le competenze: la trattativa sui soldi viene dopo".  A sottolinearlo è Ugo Rossi, presidente della provincia autonoma di Trento, in un'intrevista ala repubblica. "Mi ero appena complimentato per il successo del referendum. Poi sento che svilisce quello che deve essere un percorso virtuoso con uscite estemporanee". Ma aspirare alla «specialità per tutti» è vietato? "La Costituzione non lo prevede, questione di storia, guerre e minoranze linguistiche. Diffondere illusioni non aiuta l'autonomia: si parte col piede sbagliato". Meglio partire da altre basi,secondo Rossi, ovvero "voler far meglio dello Stato per restituire di più al Paese. Tagliando i costi delle competenze primarie, Trento e Bolzano girano 2,2 miliardi l'anno in più per risanare il debito pubblico".
E' ipotizzabile un referendum per l'autonomia della Toscana? No, mai, anche se "Bisogna invece ridefinire i rapporti con Stato centrale", ma il referendum "sarebbe una mossa sbagliata", così Enrico Rossi, presidente della Toscana. Quello referendario  "E' un terreno che sposta il dibattito dalle vere questioni che riguardano il Paese, come il funzionamento della sanità o come si può mantenere un Paese solidale", ha aggiunto Rossi, ad Agorà. ""Bisogna invece ridefinire i rapporti tra le Regioni e lo Stato centrale. La via di uscita non può essere l'egoismo per cui io, siccome sono ricco, mi trattengo tutto come dicono Zaia e Maroni. Ma davvero questi credono di poter fare commercio con l'estero come Regioni?", ha detto  infine Rossi. "Si discuta come stare in Europa, non di frammentarci come sta accadendo ora". (Regioni.it 3256 - 24/10/2017)