LA CAMPAGNA ELETTORALE NELL'ANTICA ROMA A CONFRONTO CON QUELLA DEI "GIORNI NOSTRI" di Pasquale Montemurro

Cultura
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Potrà sembrare strano o incredibile, ma le campagne elettorali che si sono svolte nell’antica Roma hanno delle peculiarità in parte assolutamente differenti da quelle odierne, in parte simili in riferimento alle tecniche per l’ottenimento delle preferenze. Il primo passo, certamente diverso  era l’iscrizione nella lista dei consules, i consoli, che poteva avvenire solo se l‘aspirante candidato era in possesso dei seguenti requisiti: a) essere cittadino romano regolarmente registrato nel census, un elenco dei cittadini e dei loro beni, in parte simile alla nostra anagrafe; b) avere compiuto 42 anni; c) avere ricoperto precedentemente il compito di quaestor (ruolo con competenze amministrative, supervisore finanziario), di aedilis (magistrato addetto alla cura delle strade, degli edifici, dei costumi alla sorveglianza dei mercanti ed altro) o di praetor (con funzioni giudiziarie nelle questioni civili); c) non avere altre cariche; d) non essere sottoposto ad alcun procedimento penale.

Per finanziare la campagna elettorale era necessario poter contare su almeno un milione di sesterzi, più o meno due milioni di euro. Per raccogliere questa cifra, il candidato faceva ricorso al patrimonio familiare agli amici e ad una clientela, nell’ambito della quale erano inclusi anche uomini d’affari che speravano, in cambio, di riceverne dei benefici. Per questi motivi, il candidato appartenente ad una famiglia ricca e potente era molto avvantaggiato ma rispetto a chi non aveva antenati consoli che potessero dar lustro alla sua candidatura.

In riferimento alla propaganda elettorale, molti particolari sono comuni ai tempi attuale. Il tutto iniziava con la petitio (richiesta), espletata mediante l’ambitus, un giro del candidato sia in città sia nelle zone rurali circostanti. Questa iniziativa aveva il fine di sollecitare i cittadini al voto ed era tanto più di successo, quanto più il candidato si rivelava attivo e presente tra la gente. Quindi, durante la campagna elettorale, era indispensabile mostrarsi il più possibile in pubblico, magari accompagnati da numerosi sostenitori e specialmente nel foro; inoltre, chi aspirava ad una carica cercava di arrivare anche prima dell’alba per occupare il posto migliore o mandava qualcuno di sua fiducia: a tale scopo, non era raro prendere in affitto una casa nelle vicinanze per tutto il tempo precedente le elezioni. L’azione più fondamentale che il candidato doveva fare in mezzo alla folla, era la prensatio, cioè la stratta di mano, con cui salutava i potenziali elettori, chiamanti anche ciascuno con il proprio nome grazie nomenclator, uno schiavo addetto proprio a questo compito. Durante gli incontri con i cittadini, il candidato menzionava i meriti passati, faceva promesse e non dimenticava i favori (banchetti, giochi, tutela di interessi privati, ecc.) che avrebbe fatto salendo alla carica desiderata. Nei confronti degli avversari non c’erano mezzi termini, anzi!  Era contemplato, addirittura usuale il ricorso ad accuse, anche insussistenti, spesso pesanti, in termini di lussuria, sperpero di denaro, ecc.. Come attualmente, nella propaganda a voce, fatta in giro per la città e nelle campagne, si affiancava quella scritta, con l’uso dei programmata, dei veri e propri manifesti dipinti sui muri dagli scriptores, professionisti del mestiere. Per preparare i programmata entravano in azione prima gli scalari, cioè i portatori di scale che consentivano ai dealbatores di stendere la calce sulla parete per preparare la superficie su cui gli scriptores dovevano poi dipingere l’annuncio elettorale; poiché i messaggi elettorali venivano stesi di notte, era indispensabile la presenza dei lanternarii, che avevano il compito di far luce agli scriptores coadiuvati a loro volta dagli adstantes, ovvero degli assistenti cui spettava il compito di portare secchi e pennelli e di fare contemporaneamente da palo contro eventuali malintenzionati. Poiché probabilmente non c’erano muri o superfici espressamente scelte, come succede invece oggi, è verosimile che i fabbricati posti sulle vie principali della città o lungo le strade di accesso ad essa fossero i preferiti. All’epoca, nemmeno le tombe erano rispettate dalla pubblicità scritta: difatti, su alcune epigrafi funerarie sono stati inviti a non utilizzarli per scopi elettorali, evocando l’insuccesso del candidato alle elezioni. A votazione terminata, era poi possibile trovare scritte con i risultati (soprattutto se favorevoli al candidato) vicino ai programmata.

Molti programmata elettorali sono stati trovati a Pompei, ancora scritti sulle mura degli edifici della città. Ogni gruppo di interesse aveva il suo candidato, che sosteneva con vari slogan, generalmente volti a metterne in luce le buone qualità e la serietà. Siccome questi messaggi non erano graffiti, ma testi tracciati col colore (il rosso o il nero), le scritte sulle pareti erano dette tituli picti, ovvero titoli dipinti. Sempre a Pompei, nella casa di Eumachia, è stato scoperto questo slogan elettorale: Cuspium Pansam ardilem aurifices universi rogant,  ovvero che “gli orefici sostengono Gaio Cuspio Pansa come magistrato”. Ancora un altro, Enium Sabinum aedilem pomari rogant, cioè Marco Enio Sabino è appoggiato dai venditori di frutta (pomari) di Pompei. In un terzo testo, è scritto Iulium Polybium aedilem oro vos faciatis. Panem bonum fert, vi prego di eleggere come edile Giulio Polibio: sa fare bene il pane.

In conclusione, almeno le strategie che attuavano nelle campagne elettorali per la conquista dei voti non sembrano essere cambiate poi di tanto nei millenni. Certamente gli antichi Romani erano sicuramente meno martellati di noi, in quanto non esistevano altri mezzi di comunicazione come la radio, la tv e quant’altro, ma una cosa è certa: se fossero esistite, sicuramente anche loro le avrebbero utilizzate.

Pasquale Montemurro già Professore Ordinario UNIBA